ULTIMISSIMI PREPARATIVI E POI VIA, GINO ASSIEME AI SUOI NOVE COMPAGNI PARTE ALLA VOLTA DI PARIGI, ANSIA E TENSIONE SI ALTERNANO A OTTIMISMO E SPERANZA.
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Si arriva così al famoso Tour del 48 su cui sono stati scritti tanti articoli, libri e saggi e messi in circolazione moltissimi filmati. In casa si respirava l'aria del grande avvenimento. Sentiva il peso della responsabilità. L'Italia sportiva era con lui. Aveva, però, 34 anni, e tutti lo chiamavano "il vecchio". Mancava dalla Francia da dieci anni. C'era stata una guerra di mezzo. Molte ferite erano ancora aperte. In Italia la situazione politica era incandescente, con i comunisti che cercavano di andare al Governo. Per non avere problemi con
l'incompetente Rodoni, che pensava più alla poltrona che ai corridori, chiese ed ottenne di portare quelli che voleva nella squadra tricolore. La squadra cadetta la creasse pure la federazione purché non gli facessero gara contro. Domandò a Girardengo se voleva fare il direttore sportivo come nel 38:"Grazie Gino, ma sono troppo vecchio. Gli anni passano anche per me. Prendi Alfredo Binda, oltretutto parla il francese e ti può essere d'aiuto. Binda accettò, dal quel momento si sentì più tranquillo. Anche il sorriso di mia madre era più sereno. C'era la convinzione che forse ce l'avrebbe potuta fare:" Chissà come mi accoglieranno i francesi - andava dicendo - i francesi. Avevo tanti amici e tanti tifosi prima della guerra". Ho avuto modo di conoscere tutti i componenti di quella squadra. Erano nove atleti meravigliosi, tutti a disposizione. Si creò fin da subito un clima sereno e di collaborazione di "uno per tutti, tutti per uno" come i moschettieri di Dumas. Tra baci lacrime e abbracci partì per Parigi e noi per la Versilia. Le notizie ci arrivavano via radio. Ero l'unico che le ascoltasse. Mia madre e i mie nonni, al momento della telecronaca, con una scusa o l'altra, andavano via dalla stanza. Avevano paura di sentire che magari era caduto e che poteva essersi fatto male. Ogni due o tre giorni cercava di telefonarci, anche se le comunicazioni erano ancora molto difficili.
l'incompetente Rodoni, che pensava più alla poltrona che ai corridori, chiese ed ottenne di portare quelli che voleva nella squadra tricolore. La squadra cadetta la creasse pure la federazione purché non gli facessero gara contro. Domandò a Girardengo se voleva fare il direttore sportivo come nel 38:"Grazie Gino, ma sono troppo vecchio. Gli anni passano anche per me. Prendi Alfredo Binda, oltretutto parla il francese e ti può essere d'aiuto. Binda accettò, dal quel momento si sentì più tranquillo. Anche il sorriso di mia madre era più sereno. C'era la convinzione che forse ce l'avrebbe potuta fare:" Chissà come mi accoglieranno i francesi - andava dicendo - i francesi. Avevo tanti amici e tanti tifosi prima della guerra". Ho avuto modo di conoscere tutti i componenti di quella squadra. Erano nove atleti meravigliosi, tutti a disposizione. Si creò fin da subito un clima sereno e di collaborazione di "uno per tutti, tutti per uno" come i moschettieri di Dumas. Tra baci lacrime e abbracci partì per Parigi e noi per la Versilia. Le notizie ci arrivavano via radio. Ero l'unico che le ascoltasse. Mia madre e i mie nonni, al momento della telecronaca, con una scusa o l'altra, andavano via dalla stanza. Avevano paura di sentire che magari era caduto e che poteva essersi fatto male. Ogni due o tre giorni cercava di telefonarci, anche se le comunicazioni erano ancora molto difficili.
Tratto da : "Gino Bartali, mio papa" di Andrea Bartali, edizione Limina