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mercoledì 29 agosto 2012

E L'ITALIA STA GUARDARE di Angelo Zomegnan


Attenzione Italia: ci rubano i gioielli di casa

di Angelo Zomegnan


Riproponiamo l'articolo pubblicato qualche giorno fa, esattamente il 18 agosto, sul blog "gazzettaro" di Angelo Zomegnan, una panoramica veritiera sulla situazione che il ciclismo italiano sta affrontando ormai da un paio d'anni. Argomentazioni e spunti, questi, di particolare interesse visto ad esempio le recentissime novità riguardanti il team Liquigas.

E l’Italia sta a guardare…
Questi di fine agosto sono giorni di trattative febbrili nel mondo del ciclismo. Sponsor che se ne vanno. Società che traballano. Team che sembravano nati per spaccare il mondo e che invece hanno creato tante e tali turbolenze da scivolare alla periferia degli interessi generali. Nuovi imprenditori che si affacciano sul complicato mercato delle formazioni nelle più disparate declinazioni. Team manager che si mettono in proprio. Genitori munifici o amici degli amici che hanno soldi da investire a favore di atleti di secondo piano che auspicano il salto di qualità. Corridori titolati che si propongono come general manager… Multinazionali che chiedono piani marketing per stabilire con buona approssimazione il rapporto più conveniente tra costi e benefici. Banche che si associano ad altre banche e chiamano allo scoperto terze banche in aggiunta alle banche che già sono nel firmamento delle due ruote. E i costruttori di biciclette, spesso a braccetto con i principali attori della componentistica, si danno un gran…da fare per non rimanere esclusi dai giochi più delicati nello spostamento delle pedine sullo scacchiere dei vari calendari di Wolrd Tour, Continentali, Nazionali, eccetera.
C’è movimento, insomma. E molto.
Ma c’è anche chi rischia di rimanere escluso dai grandi giochi.
L’Italia, ad esempio, si sta impoverendo ed è quotidianamente oggetto di saccheggi di talenti, di uomini di sostanza, di campioni e di management.
Ricordate quando nacque il vituperato Pro Tour? A fine 2004, l’Italia poteva vantare il corridore numero 1 al mondo (Damiano Cunego) e il Team numero 1 al mondo (Saeco), che faticarono non poco per trovare una collocazione all’altezza delle loro aspettative: collocazione arrivata in extremis per via della gestione del patrimonio societario difficile da spiegare ai revisori dei conti ingaggiati dall’UCI. Apparve immediatamente chiaro, comunque, che per rimanere a galla il movimento italiano avrebbe dovuto allontanarsi dai templi delle residenze di comodo e di conseguenza sarebbe stato meno competitivo rispetto a squadre più ricche e/o meglio strutturate perché sorrette da legislazioni convenienti.
In pochi cambiarono orientamento in casa nostra. I molti cercarono un nuovo sole economico a latitudini chiacchierate e pur sempre funzionali. La stretta dell’Agenzia delle Entrate ha completato l’opera nel mettere in ambasce gli operatori italiani obbligati a confrontarsi con realtà più grandi, più attente allo sport in genere o ossigenate da magnati capaci di investire cifre addirittura spropositate forse per interessi privati in atti pubblici.
Il ciclismo e il calcio hanno proceduto parallelamente seppure su piani decisamente diversi. Fatto è che al crepuscolo della stagione del ciclismo e all’inizio di quella del grande calcio, i mali sono comuni: le ruote impazzano lontano dall’Italia con attenzione particolare nel mondo anglosassone e i palloni volano più in alto del normale, ad esempio, in Francia, dove il Qatar ha portato somme ingenti per fare del football il cavallo di Troia in grado di scardinare antichi format televisivi e dunque spezzare il monopolio di certi broadcast che hanno costruito fortune grazie allo sfruttamento dei diritti televisivi.
Dal discorso in generale, scendiamo in quello particolare.
L’Italia si sta impoverendo. E non di poco.
Squadre del Kazakistan, della Spagna, della Francia, degli Stati Uniti, del Belgio, dell’Australia, della Gran Bretagna, etc. pescano a piene mani nel serbatoio tricolore i migliori attori del nostro ciclismo. Un nome e un cognome su tutti: Vincenzo Nibali, che alla corte dell’olimpionico Alexander Vinokourov si porterà degli aiutanti validi. E altri sono sulla via dell’emigrazione come nel Dopoguerra accadeva alle nostre forze migliori e disperate perché, si sa, il posto di lavoro fuori dal Paese è un’esigenza che è divenuta trasversale ai più e a tutte le categorie. Daniele Colli non è certo un Nibali eppure dopo l’America sbarcherà – mi si dice da fonte attendibile – in Olanda. Lo stesso gnomo Domenico Pozzovivo lascerà l’Italia per la Francia per un ingaggio che farà ricco lui e anche chi l’ha cresciuto: si parla di 750.000 euro! Capito? Un miliardo e mezzo delle vecchie lirette per uno scalatore che difficilmente vincerà un Giro o un Tour, cosa che è invece nelle corde di Nibali che, pare, a pacchetto completo costa 3 milioni di euro (sei miliardi di lire!) all’Astana.
Questo è il mercato. E l’Italia su questo mercato ci sta male e a stento perché la morsa fiscale è superiore che altrove, perché certe trappole non si possono più costruire, perché i costi del “contorno” sono più elevati e obbligatori rispetto ad altrove.
Temo che il gruppo di Giuseppe Saronni, quello che ora si chiama Lampre-ISD, debba fare i salti mortali e puntare sui giovani per tenere il budget sotto controllo. E temo che il gruppo di Roberto Amadio, l’attuale Liquigas-Cannondale, si stia “restringendo” attorno a Peter Sagan, Moreno Moser e ad Elia Viviani con l’ombrello di Ivan Basso, ma non sarò facile trovare un alias di Liquigas per tornare al livello che lascia.
Dunque, è allarme!
E grande, per giunta.
Senza l’attività di vertice, chiude la fabbrica degli idoli e i giovani non hanno icone nazionali da imitare, che è sempre uno stimolo importante per crescere nello sport e nella vita di tutti i giorni. “Non hai idea di quanto fossi soddisfatto quando nel mio paesello quattro ragazzi lasciarono il rugby, che è la disciplina imperante, per dedicarsi alla bicicletta e cercare di diventare come me, come…Laurent Jalabert”, mi confidò un giorno “JaJa” nel suo Tarn. Lo capimmo, eccome.
Se è vero che non esistono più le bandiera di un tempo e persino ad Alex Del Piero è precluso il prepensionamento nella “sua” Juventus, mi sembra altrettanto inconfutabile che si renda indispensabile scrollarci d’addosso la polvere del passato e aprire una finestra sul futuro. La Lega Professionistica Italiana di recente ricostituzione ha nelle proprie corde statutarie l’obbligo di stimolare lo sviluppo del ciclismo di vertice in Italia: dovrebbe occuparsi di quello anziché ipotizzare soltanto strategie improponibili perché straordinariamente fuori dalla portata (unificazione della trattativa dei diritti televisivi) o perché di piccolo cabotaggio (omologazione di servizi trasversali come se fosse un fornitore qualsiasi).
Freno alla deregulation da una parte e progetti condivisi dall’altra: ecco le due vie che portano al solo punto da cercare, vale a dire quello della salvaguardia del patrimonio nazionale. Se così non sarà, un anno o l’altro, oltre a correre per squadre straniere di club, i nostri gioielli finiranno per difendere i colori delle patrie di adozione come un tempo rischiò di verificarsi con Moreno Argentin, Mario Cipollini e Paolo Bettini residenti nel Principato di Monaco e come a breve giro di posta potrebbe accadere con Vincenzo Nibali e Damiano Cunego, che hanno attraversato il confine della Confederazione Elvetica (la mitica Svizzera, per essere più chiari) per stabilirsi laddove gli interessi economici contingenti potrebbero intrecciarsi con quelli dei Paesi diversi dall’Italia.
Facciamo un gioco, che forse tanto gioco non è. Vi immaginate la nazionale rossocrociata con Fabian Cancellara, Cadel Evans, Vincenzo Nibali, Damiano Cunego, Peter Sagan…eccetera, eccetera?
Attenzione, l’Italia: ci rubano i gioielli. E dire che in giro per l’Europa ci sono risorse economiche fresche e una gran fame di know-how italiano…