Luca Paolini è stato uno dei ciclisti italiani più importanti degli ultimi 15 anni. Grande gregario, ha aiutato tantissimi campioni a vincere numerose corse, uno su tutti l’amico Paolo Bettini. Nell’ultimo periodo specialista anche nelle vittorie di tappa. Poi, l’improvviso stop poichè trovato positivo alla cocaina all’ultimo Tour de France, una notizia che ha sconvolto tutto il mondo del ciclismo italiano e non solo, che non si aspettava certo una fine così ingloriosa.
Di Luca Paolini se ne erano completamente perse le tracce da quel fatidico luglio, ma ora esce allo scoperto per spiegare quello che è stato il suo dramma. Non poteva che non farlo in un’intervista a La Gazzetta dello Sport. Queste alcune delle sue parole:
”Partiamo dal sonnifero che prendevo, gocce per dormire. Il principio attivo è la benzodiazepina. Ma crea una maledetta dipendenza. Io ne avevo bisogno alla sera, per riposarmi, per affrontare lo sforzo fisico e mentale del giorno dopo. Ho cominciato nel 2004 quando morì mio cognato. Le prendevo, poi ho smesso, poi ho ripreso. Il vero problema è la vita di tutti i giorni, i problemi grandi e piccoli, e tutto questo si somma allo sport, alle tensioni, allo stress. A livello mentale ti intacca tanto. È qui che entra l’assunzione di quelle sostanze, è triste. E da quell’errore arrivi alla cocaina. Me ne assumo tutta la responsabilità e non ho scusanti. Ma racconto questa storia perché la gente non ripeta i miei stessi errori. E molto ha contato il mio carattere. Sono sempre stato orgoglioso. Non ho mai cercato l’aiuto da altri, pensavo sempre di essere un peso, cercavo di fare da solo. Gli anni che passano, le aspettative, il non voler mai tirarmi indietro e aiutare i miei capitani, da Kristoff a Rodriguez, e poi correre sempre, venti giorni dopo il Lombardia già in sella, in gara a gennaio, le classiche, il Giro, il Tour: tutto questo alla fine mi ha destabilizzato. Le tensioni sportive, i programmi forse anche sbagliati, le responsabilità. Per questo pensi a un farmaco che ti possa far dormire bene per ripartire il giorno successivo. Al mattino mi svegliavo e stavo benissimo, l’adrenalina combatteva le benzodiazepine. Ma i problemi arrivavano quando la bici finiva. Lo sport vive la situazione della società di oggi. C’è la crisi, meno squadre, meno corridori, meno posti di lavoro. Lo sport fatto ai nostri livelli ti logora e se non riesci a gestire le tue forze… Non so se avrò più la possibilità di attaccarmi un numero sulla schiena, ma questa è la lezione più grande che ho ricevuto: non devi nascondere tutto dentro quando hai i problemi. Va cercato aiuto”.
Paolini continua a raccontare la sua storia: ”Negli ultimi due-tre anni usato sempre il sonnifero, a casa e alle corse. Ero dipendente, lo compravo con regolare prescrizione: non è vietato. Le gocce non bastavano mai. Alterano l’umore, i ritmi sonno-veglia, e quando le sospendi entri in depressione. Ti crea dipendenza. Sì, ho cercato di togliermelo dai piedi, ma è stata una dura lotta. Avevo attacchi di panico, ansia, malessere. Non un bel vivere. I medici si chiedevano come potessi correre. Il peggio arrivava di sera, quando le benzodiazepine prendono il sopravvento sulle tue forze. Basta poco e perdi la lucidità. E arrivi alla cocaina. Per me è stato inevitabile, l’ho fatto senza quasi essere consapevole di farlo. Ero solo quella sera, ero solo durante il ritiro di due settimane in montagna a metà giugno prima del Tour, quando ho preso la cocaina. E non posso perdonarmelo. Sono marito e padre, sono uno sportivo di rilievo, tanti ragazzi mi prendevano a esempio, ho ferito una generazione che credeva in me. È questo che mi fa male. La cocaina mi ha fatto aprire gli occhi e capire quanto era la dipendenza dal sonnifero. Mia moglie, i ragazzi, gli amici veri, non potevo farcela da solo, e ho chiesto aiuto. Ho cominciato la disintossicazione”.
Paolini chiude con un messaggio a tutti: ”Va bene essere campioni, ma bisogna capire i segnali che arrivano dal corpo e dalla mente. Pensi di essere un superman e invece ti guardi allo specchio da uomo e capisci che, se sbagli, ne paghi il conto. Raccontare aiuta. Non aprirsi, non condividere i propri problemi ti porta alla mia situazione. E questa intervista la dovevo anche a me. Avevo bisogno di parlare e spiegare”.