mercoledì 14 novembre 2012
IL PUNTO DI ZOMEGNAN
LUCIDO PUNTO DI VISTA DI QUELLO CHE DA POCHE ORE E' DIVENTATO IL NUOVO SENIOR ADVISOR DEL TEAM LAMPRE
Nell'ultimo mese, il ciclismo ha rimediato botte tremende. Il movimento vacilla. L’impressione è che lo zoccolo duro sia talmente rodato a qualsivoglia tipo di scossone che alla fine il moloch rimarrà in piedi, seppure sulla spiaggia e non certo sul cemento. Da dove partiamo? Dal Tour de France, ad esempio: alla centesima (!) edizione appare deboluccio nel tracciato. Non basta certo la doppia scalata all’Alpe d’Huez a trasformare un percorso dall’apparente calma piatta in un …
piatto da gustare giorno dopo giorno. Unica sostanziale variante rispetto all’ultima avventura consegnata da manuale Cencelli a Bradley Wiggins ben prima che la corsa cominciasse sta nel fatto che l’anno prossimo le montagne – si fa per dire…. – arriveranno prima delle cronometro e dunque i passisti con buon passo anche in salita saranno meno avvantaggiati rispetto agli scalatori.
Il Tour del 2013 partirà finalmente dalla Corsica dopo aver pensato persino al Canada, al Giappone, agli Emirati Arabi e alla lontanissima “provincia” della Nuova Caledonia. Che dire? Era ora. Come sarebbe ora che a Parigi si scegliesse di partire per la prima volta dall’Italia sia perché il legame tra Francia e Italia (2 regine e tanto altro) non è mai stato onorato, sia perché il centenario della nascita di Gino Bartali – 1914-2014 – meriterebbe una celebrazione specialissima considerato il debito accumulato nel tempo dalla maglia gialla nei confronti del figlio più Pio tra coloro che l’hanno indossata. Firenze e la Toscana sono pronte. E aspettano.
Siamo parte interessata nella vicenda e non ci dilunghiamo. Ci limitiamo a non voler credere che alla fine comanderanno sia i quattrini, sia i piani di merchandising: sarebbe un’ulteriore scarica di energia negativa sul movimento.
Intanto c’è da registrare come il dibattito dei tifosi attorno al nuovo Tour sia stato più vivace rispetto a quello originato dalla presenza del Giro 2013, che è stato proposto in sordina, nel mezzo di una domenica ingolfata da mille eventi sportivi e senza l’ausilio della tradizionale diretta televisiva.
Ciò insegna che il Tour può nascere in una giornata qualsiasi ed in streaming web, mentre il Giro ha assolutamente bisogno delle telecamere di un broadcast televisivo per elevarsi da scorpacciata di piatti tipici della cucina italiana a evento mediatico di interesse nazionale e anche internazionale. La recente esperienza si renderà utile nell’autunno del 2013 quanto nascere la nuova avventura rosa su cui si stanno concentrando – come si evince dai social network e dalle notizie di prima mano – l’Irlanda, l’Austria e anche l’Italia (con le Marche in prima fila).
Il Giro 2013 è nato prima del giallo Armstrong, mentre il Tour è sbocciato ufficialmente subito dopo: a Parigi, il problema è stato liquidato con immagini durate meno di due secondi (!) per un personaggio che nel bene aveva occupato migliaia di ore di pellicola e di registrazioni. Mettere da parte il problema non significa risolverlo. Anzi…si rimanda soltanto il momento in cui va affrontato.
Molto prima che certe cosa accedessero, mi permisi di anticipare la sensazione che il mondo si stava spaccando in chi vedeva in Armstrong un angelo e in chi vi vedeva un diavolo. Il giudizio etico a questo punto pende soprattutto dalla parte dei secondi, anche se sulla vicenda sorgono spontanee delle domande:
1) perché l’FBI, che pure mise alle corde i truffatori dell’operazione Balko, ha chiuso in primavera la propria inchiesta sul sistema Armstrong senza luogo a procedere?
2) perché, invece, gli stessi verbali con le stesse ammissioni (e non certo confessioni) sono bastate all’USADA per far saltare il banco Armstrong?
3) perché le ammissioni degli ex compagni di Armstrong su certi fatti e certe manipolazioni del sangue non sono mai stati messi in evidenza né dal passaporto biologico, né dall’antidoping a fine gara?
4) perché l’Unione Ciclistica Internazionale investe ogni anno più di 7 milioni di euro in azioni antidoping che poi si dimostrano inefficaci?
5) perché i legali non hanno ancora ribattuto alle accuse di corruzione, in certi casi velate e in certi casi roboanti (Kathy, la moglie di Greg LeMond), nei confronti dell’UCI?
Perché? Perché? Perché?…
Ce n’è una montagna di perché. E, come sempre, nel ciclismo ci sono più domande, che spiegazioni.
Ad esempio:
1) perché Rabobank si è chiamata fuori dalla sponsorizzazione del Team di World Tour (pur garantendo i finanziamenti ma togliendo il brand dalle maglie e dalle ammiraglie) come anni fa fece la Telekom tedesca?
2) perché il Sistema-Bakala (che è lo stesso che anni fa venne annunciato dal tandem Lefevere&Bruyneel a braccetto con Mr. Van den Houte e con Maitre Dupont, lo smantellatore del vecchio calcio attraverso il Caso Bosman) torna d’attualità proprio adesso e si dà una tempistica nella realizzazione di 2-3 mesi?
3) perché le squadre di prima fascia, pur essendo tutte affiliate all’UCI, si stanno dividendo in grandi filoni: le affiliate al Sistema-Bakala da una parte, il sistema del Movimento per un Ciclismo Credibile dall’altra e alcune su entrambe le posizioni?
4) perché in Croazia si riuniscono le federazioni nazionali del Centro e dell’est dell’Europa ad ascoltare e applaudire il progetto innovativo di Andrei Tchmil, che dalla Moldova si è messo marcia verso la presidenza dell’Unione Europea del Ciclismo che esiste da vent’anni senza quasi che lo si sappia?
5) perché il mondo anglosassone e quello celtico cominciano a voltare le spalle ai rispettivi santoni che per decenni hanno menato la danza e adesso elaborano semiclandestinamente complicati sistemi di circuiti mondiali pur essendo i governatori del ciclismo e dunque hanno tutte le opportunità per far ciò in seno alla federazione mondiale?
Bastano questi 10 interrogativi per dar retta al fiuto che ci dice che qualcosa di importante e delicato stia per accadere?
Ce n’è d’avanzo.
Aspetto le vostre interpretazioni.
La sola certezza è che ciascuna risposta, quasiasi essa sia, finirà per indebolire ulteriormente un mondo già in affanno su tutti i fronti e dove il rischio d’impresa continua ad essere prerogativa scabrosa di chi mette le risorse e non di chi le succhia.
di Angelo Zomegnan