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domenica 26 agosto 2012

CASO ARMSTRONG, PARLA SAVOLDELLI



INTERESSANTE INTERVISTA RILASCIATA AL CORRIERE DELLA SERA DA PARTE DI QUELLO CHE, PER ANNI, E' STATO UN FIDO GREGARIO DI LANCE ARMSTRONG, IL NOSTRO PAOLO SAVOLDELLI.

Riportiamo l'intervista apparsa sul Corriere della Sera di oggi, a rispondere alle domande di Paolo Tomaselli il due volte vincitore al Giro d'Italia "il Falco" Paolo Savoldelli, che con Armstrong vinse nel 2005 il Tour de France. Le dichiarazioni di  Savoldelli, come leggerete, vengono a discostarsi dalle numerose e unanimi testimonianze di altri ex compagni di squadra del campione Texano, suscitando altrettanti dubbi e considerazioni:

  Però?
«Lui è stato un fuoriclasse assoluto. Nel fisico, fortissimo. E nella testa, d'acciaio».

L'Usada non la pensa così.

«Io
credo che sia mossa da motivazioni politiche. E non penso che riuscirà
a togliergli tutto. Andando anche contro il principio della
retroattività della pena, che è di otto anni».

Nel 2005 avete corso insieme Tour e Parigi-Nizza. Con voi compagni che rapporti aveva?

«Io
non facevo parte del suo gruppo di allenamento. Solo una volta sono
stato con lui a Tenerife, ma lui non stava in altura perché era con
Sheryl Crow. Una cosa, ripensando a quegli anni mi lascia perplesso...».

Cioè?

«Ragiono come se fossi lui: mi dopo e lo faccio con tutti i compagni di squadra. Mi sembrerebbe una pazzia».

In che senso?

«Di
Armstrong nessuno sapeva niente. Lui aveva il terrore di essere trovato
positivo. Aveva il cuoco che controllava tutto, anche le borracce.
Aveva paura di un complotto, non voleva smettere, ma non poteva più
andare avanti con quella vita. Per questo mi sono sorpreso quando è
tornato nel 2009».

Per l'Usada sono sotto accusa anche gli anni del rientro. Che ne pensa?

«Mi
pare che l'inchiesta federale sia finita con un nulla di fatto e la
giustizia americana non è tenera su queste cose: il procuratore
Nowitzki era il mastino del caso Balco. Per questo l'accanimento della
giustizia sportiva mi sembra ridicolo e credo che il procuratore
antidoping voglia pubblicità. Quando Lance dice che è uno spreco di
soldi pubblici non ha tutti i torti...».

Ma lui è pur sempre un simbolo. E condannarlo significa dare un messaggio forte: l'impunità non esiste per nessuno. Non crede?

«Sì è vero, ma andare indietro di 14 anni non ha molto senso. Cosa facciamo con Coppi, Bartali o Merckx?».

Non la sorprende che tra gli accusatori ci sia anche lo storico gregario Hincapie?

«Sì, è vero. Ma è anche vero che il nome di George non l'ha fatto ufficialmente ancora nessuno».

Il ruolo di Landis invece sembra più importante e più certo. Che ne dice?

«Floyd
ha vinto un Tour, è stato trovato positivo. Ha negato per due anni, poi
ha ammesso e ha detto che il doping glielo ha insegnato Lance. Un
percorso non troppo credibile».

Resta il fatto che i nemici sono tanti. Si è dato una spiegazione?

«Armstrong
aveva un caratteraccio e si è scontrato con tanta gente. Io stesso non
mi sono lasciato bene con lui, perché al Tour si era comportato da
padre-padrone. Lance era uno spaccone e non mi sorprende che qualcuno
voglia fargliela pagare: si è creato tante inimicizie, anche senza
motivo: lui e Bruyneel si sentivano invincibili. Una sera a cena ci
disse: ‘‘Se sentite qualcuno che parla male di me, ditemelo''. Gli
serviva per caricarsi ancora di più...».

L'Uci aspetta di vedere le carte. Questo è un punto a favore dell'americano?

«Sì, all'Uci questa inchiesta non piace, perché viene sovrastata».

Ma
Armstrong rinunciando a difendersi dalle accuse dell'Usada ha
implicitamente ammesso la sua colpevolezza. Crede che si arrenderà?

«Lo escludo. Non è uno sprovveduto e ora ha preso la decisione che più gli conveniva. Ma andrà avanti a combattere».

Resta il fatto che se Armstrong perde il Tour i podi di quegli anni sono imbarazzanti...

«Sì.
E se ci fosse stato il passaporto biologico come adesso sarebbe stato
diverso. Ma questo c'entra comunque poco con l'inchiesta su Lance che
rovina l'immagine di uno sport che ha fatto tanto per ripulirsi».

Certo che i fatti di Campiglio che nel '99 appiedarono Pantani sembrano poca cosa rispetto a quanto accaduto dopo. O no?

«Marco
era il simbolo del ciclismo italiano. Fermare lui era il segnale che
chiunque non fosse a posto sarebbe stato fermato. Mentre in precedenza
qualche grande nome era stato salvato. Da lì è iniziato tutto. E questo
sport non ha più guardato in faccia a nessuno».

Nemmeno Armstrong?

«Sì
e le faccio un ultimo esempio: nel 2005 prima del Tour lo controllò a
sorpresa l'agenzia francese antidoping, un organismo indipendente,
facendogli firmare un foglio per consentire di riesaminare sangue e
urina per gli otto anni successivi con nuovi metodi».

Si è saputo più niente?

«Direi proprio di no».