Quel che piace del “Giro d’Italia dei… Cesaroni”
PROPONIAMO ALCUNE RIFLESSIONI, E SUL RECENTE LOMBARDIA E SUL GIRO EDIZIONE 2013, DA PARTE DI ANGELO ZOMEGNAN.
E’ calato il sipario sulla vera stagione del ciclismo mondiale con Il Lombardia di “Purito” Rodriguez, primo spagnolo in trionfo in oltre un secolo di storiai, e si è alzato quello sulle presentazioni delle sfide a venire: Il Giro del 2013, poche ore fa, ha giocato d’anticipo sul nuovo Tour che sboccerà il 24 ottobre a Parigi (e che nel prossimo luglio scalerà nello stesso giorno due volte l’Alpe d’Huez) e della Vuelta che di solito si palesa nel bel mezzo dell’inverno.
Nonostante il Muro di Sormano abbia fatto soprattutto uno spot a se stesso a scapito dei successivi 85 chilometri finali del Lombardia, la sfida dell’ultimo dei monumenti del ciclismo dell’annata 2012 lascia spazio a quisquiglie cinesi e ci consegna l’immagine felice di “Purito”, corridore capace di essere protagonista al vertice dall’inizio di marzo alla fine di settembre.
Un criterio più ortodosso nell’assegnazione degli abbuoni di giornata avrebbe verosimilmente permesso a “Purito” di aggiungere anche il Giro d’Italia alla Freccia Vallone e al Lombardia. Ormai quell’acqua non macina più. E, magari, una condotta meno evanescente avrebbe concesso a Rodriguez la maglia rossa della Vuelta, che invece Alberto Contador gli ha strappato dalle spalle con un blitz straordinario al crepuscolo della sfida di tre settimane più affascinante dell’anno.
Il nuovo Lombardia va atteso ad una verifica supplementare. Lo show non è stato eccezionale. E anche nel 2011 aveva destato delle perplessità (chiedetelo a Vincenzo Nibali…). In tutta trasparenza, sono del parere che il problema vero per renderlo più spettacolare nel finale sia di mettere un ostacolo non prima del Ghisallo, bensì proprio tra il Ghisallo e il Villa Vergano se si vuol rimanere col traguardo a Lecco. Un po’ come accadeva negli arrivi a Como negli anni più recenti quando tra il Ghisallo e il Colle di San Fermo, appena dopo Erba, c’era quel dente verso Civiglio capace di eleggere per davvero l’eroe “ultimate” di giornata. Tra un anno ne sapremo di più. Per ora possiamo dire che in diretta tv non s’è visto lo scatto decisivo di “Purito” nel diluvio universale e che la discesa dal Muro di Sormano ha fatto, purtroppo, più selezione della salita: spiace aver perso per una caduta il neoridato Philippe Gilbert quando si era appena tolto la mantellina dichiarandosi pronto a dar battaglia sull’ultimo cocuzzolo di Villa Vergano.
Ed eccoci al Giro del 2013: il numero 96 della leggenda della Gazzetta e del ciclismo. Ci siamo goduti la presentazione su gazzetta.it perché la Rai non ha ritenuto opportuno lanciarlo in diretta. Del resto su Raisport 1 c’era da occuparsi di canottaggio e su Raisport 2 imperversava il motocross. Volete mettere? L’attesa del nuovo Giro poteva competere con quei due eventi? A voi la risposta. E non valgono neppure le spiegazioni legate alla ragion di stato che vedono la Rai ancora lontana dalla firma del contratto con RCS per diffondere in diretta e in chiaro le prossime edizioni del Giro. La ragion di stato era ben altra: non privare noi telespettatori di un evento-tradizione che unisce l’intera penisola. Perché una cosa è palese a tutti: Milan e Inter segmentano; il Giro invece unisce. L’unica attenuante sta nel fatto che l’orario della presentazione andasse a sbattere contro la fascia dei telegiornali di Rai 1, Rai 2 e Rai 3. Su Raisport il Giro ci stava, eccome!
Ad onor del vero, Andrea Monti – che ad un certo punto è passato dal commento alla presentazione degli ospiti – non ci ha fatto rimpiangere Auro Bulbarelli. E lo spazio destinato a Gazzetta è stato migliore e più pregnante che in passato e ciò in onore ad una sola certezza: il Giro è della Gazzetta e di nessun altro.
La cerimonia di Milano è stata la certificazione delle indiscrezioni volute o sfuggite nelle settimane precedenti agli organizzatori. Il sentimento generale è stato ben interpretato da Pier Bergonzi, che sul ciclismo ha l’occhio lungo: piace a tutti, ai nipoti come ai nonni, è un po’ il Giro dei Cesaroni …evocando la telenovela da snack tv ambientata a Roma e tanto in voga. Ovvero: il trionfo del nazionalpopolare alla Pippo Baudo. Speriamo sia così anche il 26 maggio 2013, un trionfo quotidiano con apoteosi nel momento in cui la Leonessa Brescia si mangerà l’ultimo boccone rosa come il suo lungimirante sindaco Adriano Paroli sognava da tempo e che Milano, per contro, stavolta ha cullato invano.
Il Giro appena nato ufficialmente è vario anche se leggerino nell’altimetria. Giù il cappello. Lasciamo perdere quello zig-zagare quasi schizzofrenico nell’Italia del Nord nella seconda metà dell’avventura. Lasciamo perdere anche i trasferimenti, che per stare nei 3.400 km complessivi impongono agli organizzatori degli esercizi di fantasia non indifferenti. Lasciamo perdere il disagio di cui ne vale veramente la pena per la piacevole scampagnata a Ischia. Questi aspetti li lasciamo a chi vorrà puntare più sulla forma anziché sulla sostanza, dimenticando come al solito che lo stress della vita moderna si rifletta inevitabilmente anche sugli eventi e non esclusivamente sui trasporti ordinari.
Guardiamo piuttosto ai contenuti.
Ebbene: un Giro che piace e sta bene a tutti, alla fine riscuote meno successo di un Giro che divide le opinioni e le folle già in fase di presentazione. Per fortuna a qualcuno non è piaciuto e continuerà a non gradirlo. E lo si è sentito, seppure in modo sfumato perché eran tutti ospiti del catering di Davide Oldani (chef di tendenza), nei momenti della diretta web dedicati ai corridori: 18 minuti, giù di lì, dei complessivi 80. E meno male! Significa che il nuovo Giro ha degli spigoli da levigare col sudore. Ciò lo renderà spettacolare anche se…
Anche se…: è un Giro spaccato in due. La prima parte è sfacciatamente a vantaggio dei cronomen. La seconda è completamente dalla parte degli scalatori. E se ti capita tra capo e collo un campione alla Miguel Indurain, per intenderci, nonostante le squadre possono sorreggere i grimpeur a Ischia e nonostante il tracciato da Gabicce a Saltara sia più impervio di quel che appaia nell’altimetria ufficiale;… e se ti capita tra capo e collo un Indurain – si diceva – il “nostro” ha la possibilità di mettere tra sé e lo scalatore tal-dei-tali almeno 360 secondi, che poi sono sei minuti. Un divario enorme per il ciclismo “moderno” e ancor di più per il ciclismo “contemporaneo”. Se davvero Bradley Wiggins vuole tentare il grande slam Tour-Giro-Vuelta prima di chiudere la carriera, un’altra occasione simile chissà quando gli capiterà.
E’ vero che erte come il Galibier e che giornatacce come quelle di Val Martello, delle Tre Cime di Lavaredo e della cronoscalata alla Polsa possono ribaltare la situazione di volta in volta, ma ciò sarà possibile soltanto se il Giro riuscirà a sedurre i guastatori del gruppo a venirlo ad onorare e a bilanciare.
In altre parole, fossi ancora l’organizzatore del Giro, dopo un disegno così, farei di tutto per avere al via Alberto Contador, Cadel Evans, Andy Schleck, Purito Rodriguez, Samuel Sanchez e la nutrita e miglior pattuglia di italiani capeggiati idealmente da Vincenzo Nibali per contrastare Bradley Wiggins, che potrebbe farci un pensierino, e forse ancora quel Ryder Hesjedal che nel 2012 ha fatto saltare il banco a sorpresa (forse anche per se stesso). E in circolazione c’è sempre Chris Froome, che sulla carta è addirittura più adatto ad un Giro così rispetto al suo capitano Wigging.
Metà dei corridori citati era alla Pelota Basca per l’annuncio ufficiale di un Giro che già conoscevano: l’importante sarà convincerli a presentarsi al via da Napoli il 4 maggio. I percorsi vengono valorizzati soltanto con un alto tasso qualitativo di partecipazione. L’ultimo Giro di Spagna ne è la dimostrazione più lampante. Non a caso è stato il più appassionante grande giro del 2012, come già sottolineato e come condiviso con corridori, pedalatori, telespettatori e semplici appassionati.
Angelo Zomegnan