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giovedì 4 luglio 2013

GIANNI MURA: PARADOSSALE E GROTTESCO TOGLIERE IL TOUR A PANTANI

BREVE INTERVISTA, RILASCIATA A FAMIGLIA CRISTIANA, DI GIANNI MURA, UNO DEI MAESTRI DEL GIORNALISMO SPORTIVO ITALIANO EREDE DELLA TRADIZIONE INAUGURATA DA GIANNI BRERA. MURA SEGUI' PER REPUBBLICA I TOUR DE FRANCE, LO FECE DAL 1967 AL 2005. 


Nell’ultimo libro di Gianni Mura, Tanti amori, scritto per Feltrinelli, con Marco Manzoni, principale responsabile del libro a detta di Mura, c’è una provacazione che sembra fatta apposta per essere lanciata in questo momento di discussione sul Tour. 


Gianni, che cos’è l’Epu, perché lo sport ne avrebbe molto bisogno? 

«E’ un acronimo che allude provocatoriamente all’Epo, la droga più diffusa. Significa etica, passione umanità. Abbiamo disperatamente bisogno di uno sport (e di un ciclismo) che tornino ad altezza d’uomo, al rispetto delle regole del gioco e degli avversari». 
A proposito di avversari, i più si giustificano dicendo che “lo fanno tutti”, una sorta di legittima difesa? 
«Non è una giustificazione, lo sport è anche un fatto etico. Se sei un campione rappresenti qualcosa che va oltre, un pubblico più vasto, non voglio parlare dei soliti bambini, ma insomma non puoi, come fanno i professionisti, parlare di doping dicendo che "ti curi", come se l’Epo fosse uno sciroppino per la tosse…Essere simboli ha un costo, vale per chi corre in bici, come per chi fa politica». 

Nel libro c’è una sua lettera a Pantani, post mortem. Che cosa pensa di questa idea di togliergli il Tour 1998? 
«Mi pare un’idea grottesca il fatto che si vada ad analizzare con le regole di oggi il mondo di 15 anni fa, così possiamo riscrivere, ammesso che sia giusto a regole cambiate, la storia, ma è una cosa un po’ teatrale e un po' sterile, come riesumare Tutankamon per capire di che cosa è morto. Non serve certo a cambiare la mentalità di un mondo sporco». 

Che cosa serve o meglio che cosa servirebbe? 
«Guardare con durezza al qui e ora: squalificare e cacciare nell’immediato senza sconti, mettendo in condizioni di non nuocere oltre. Bisognerebbe non limitarsi agli atleti dopati, su cui si accende il riflettore, bisognerebbe cacciare anche chi li aiuta. E invece il Coni spagnolo non è andato così a fondo con uno come Fuentes». 



Nel libro, che contiene anche storia e storie d’altri più poetici temi, adombrate l’idea che il doping sia un problema sociale. E’ così? 

«Credo di sì ma non è una giustificazione. Però è un fatto che viviamo in una società farmacodipendente, che al primo starnuto si impasticca. Una professoressa, qualche tempo fa, ha proposto l'antidoping per gli studenti: se uno prende farmaci per aiutare la memoria e prende un voto migliore di un altro all'esame trae un indebito vantaggio. Ovviamente non se n'è fatto nulla. Anche perché non va dimenticato che il doping è un grande affare e che l’antidoping costa». 

Più grave il problema etico di chi si dopa o di chi aiuta a doparsi? 
«Sono due facce della stessa disonestà, con una differenza chi si dopa, rischia in salute del suo, chi aiuta non rischia niente». 



C’è percezione di questo rischio o è tanta anche l’ignoranza? 

«Mi ha dato da pensare la notizia di una corsa ciclistica amatoriale di qualche giorno fa, in cui quando s’è sparsa la voce che ci sarebbe stato un controllo si sono dati tutti ai campi, nessuno è arrivato al traguardo. Vuol dire che è diffusissimo anche il doping brado, della domenica, che nessuno controlla perché costa. Né prima per sicurezza, né dopo per onestà. Ma su Internet si compra di tutto» 

Anche con la spedizione anonima… 
«Sì come le riviste porno un tempo, a che il vicino non sapesse…».